martedì 27 febbraio 2018

Siria - Ghouta (for dummies)

Ghouta.

Ghouta in arabo significa oasi ed in effetti, prima dell'inizio del conflitto civile siriano, Ghouta era una vera oasi. Una lunga serie di canali millenari utilizzati per l'irrigazione, avevano contribuito a creare un territorio ricco di vegetazione e popolato da oltre 2 milioni di persone a pochi passi dalla capitale dello stato siriano Damasco.

Poi venne la guerra e con essa morte, distruzione e tantissime contraddizioni geo-politiche che in queste ore stanno venendo al pettine.

Ma vediamo di fare ordine.

Qualche giorno fa su Twitter è stato caricato un video che riprende una colonna di mezzi militari in marcia verso Damasco. La colonna è lunghissima (2Km secondo chi riprende la scena) ed è il segnale inequivocabile che Bashar Al-Assad, leader siriano, è intenzionato a riprendersi Ghouta dopo essersi ripreso la maggior parte del territorio e delle grandi città siriane precedentemente in mano all'ISIS ed alle cosiddette fazioni di ribelli.

Ghouta è un enclave ormai da anni. Nessuno entra e nessuno esce da quei 12 kilometri quadrati di territorio che lo compongono. Niente o nessuno a parte le bombe. 


Tecnicamente parlando le bombe piovono su Ghouta per effetto dei bombardamenti condotti dall'aviazione siriana e russa intervenuta anni fa a sostegno di Bashar Al-Assad per formare una coalizione che al terzo vertice del proprio triangolo vede l'Iran (sciita).

Ma a Ghouta le bombe entrano anche attraverso una fitta serie di tunnel che riforniscono i combattenti che si oppongono ad Assad, di esplosivi, munizioni, missili e spesso anche di uomini.
Le bombe che piovono su Ghouta seminano morte e terrore perchè non va dimenticato che Ghouta non è un enclave disabitato, ma che in esso vivono ancora 400.000 siriani circa, oltre ad un numero che va dai 10.000 ai 20.000 ribelli jihadisti.

La conta dei morti a causa dei bombardamenti è un mero esercizio, spesso di sola propaganda. Un bombardamento che fa 10 morti è tanto grave quanto un bombardamento che ne fa 1.000 se a morire sono civili che col conflitto hanno poco o niente a che fare. Ma l'effetto propaganda della conta dei morti viene amplificato o minimizzato ad arte dalle fazioni coinvolte per accendere o spegnere i riflettori internazionali su un caso spinoso che potrebbe mettere più di qualche stato in difficoltà con la propria opinione pubblica.

Quello che va specificato è che il conflitto siriano del 2018 ha poco o nulla a che fare con il prosieguo della primavera araba che aveva infiammato diversi stati a ridosso del Mediterraneo tra cui Libia ed Egitto.

La rivoluzione del 2011 che diede vita al conflitto civile ha visto buona parte dei partecipanti fuggire dalla Siria o morire per gli effetti della repressione sanguinosa della rivolta attuata da Bashar Al-Assad nei primi mesi della crisi.

Il conflitto siriano del 2018 è un conflitto tra Assad ed una lunga serie di forze para-militari sovvenzionate in maniera diretta o indiretta da tutti coloro che in Siria vedono interessi di tipo politico, economico o religioso.

Ghouta non è da meno. Quelli che i media occidentali fino a qualche anno fa chiamavano ribelli moderati oggi sono diventate brigate di stampo salafita o wahhabita finanziate e armate da uomini spesso legati ai governi di Arabia Saudita e Qatar.

A dividersi la dozzina di grandi città che compongono l'enclave a nord-est di Damasco ci sono Hayat Tahrir al Sham, Jaysh al Islam e Faylaq al Rhaman, che condividono poche cose se non l'assenza di una vera agenda politica, economica e sociale per i territori che controllano ed il sogno di instaurare un nuovo regime fondamentalista ed ultraconservatore da imporre, essenzialmente, con le armi.

Ed il problema di Ghouta è proprio questo.

Da una parte c'è l'umano e diffuso desiderio di fermare le azioni militari siriano-russe che causano ogni giorno morte e distruzione, ma dall'altro la logica secondo la quale l'unico modo per fermare tutto questo è eradicare dal territorio queste fazioni che usano la popolazione come scudo umano (diversi i casi di famiglie recluse ai piani alti di stabili adibiti al deposito delle armi in modo da scongiurare un possibile bombardamento) o come ostaggio per instaurare una trattativa che possa portare all'ingresso di cibo, medicine e beni di prima necessità nell'enclave.

La rivoluzione in nome della democrazia, in questo caso, è totalmente assente. D'altronde si fa fatica a credere che a lottare per una Siria migliore ci sia Hayat Tahrir al Sham, fronte siriano dell'Al Qaeda di Osama Bin Laden, che a Ghouta è nota per diverse azioni rivolte non solo contro il fronte dell'esercito siriano, ma anche contro le altre organizzazioni con cui divide il territorio, per questioni di supremazia territoriale ed approvigionamento di armi e danari dei vari sponsor.

Del futuro di Ghouta se ne parla spesso in 2 luoghi. Uno è Astana (ultimamente si è preferito Sochi), capitale del Kazakistan, che spesso ha ospitato degli incontri multilaterali tra emissari del governo siriano, russo, iraniano e turco volti a definire con i pari ruolo espressi dalle varie fazioni che si dividono Ghouta, i passi successivi del conflitto. Da questo tavolo non è mai venuta fuori una bozza risolutrice che potesse mettere fine ai continui bombardamenti sull'area. D'altronde la non-ufficialità dell'evento lasciava liberi i partecipanti di potersi impegnare o meno per una soluzione della faccenda seria.

L'altro tavolo invece è a New York.

Nelle scorse ore il consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato all'unanimità un cessate il fuoco di 30 giorni che dovrebbe fermare i bombardamenti "indiscriminati" su Ghouta. Tale risoluzione è stata accettata dalla Russia (che comanda le trattative per conto della Siria) a patto che non fossero vietate le azioni contro ISIS ed Al-Qaeda (o gruppi ad essa affiliati).

La risoluzione ha fatto storcere più di qualche naso. All'atto pratico, vista la conformazione del conflitto e gli attori coinvolti, questo atto non salverà Ghouta (e gli altri territori inclusi, ma che al momento rappresentano fronti freddi ossia non particolarmente attivi dal punto di vista delle operazioni militari) in nessun modo da ciò che sta accadendo in queste ore e che con molta probabilità proseguirà nelle prossime almeno fino a quando Mosca e Damasco lo vorranno.

La domanda dunque nasce spontanea: all'Occidente importa veramente qualcosa di Ghouta o il tram tram di dichiarazioni rilasciate in queste ore da vari esimi membri del consiglio stesso, altro non sono che un modo per lavarsi la coscienza e l'immagine davanti alla propria opinione pubblica? Non solo.

Per Ghouta c'è da augurarsi un mero cessate il fuoco o un futuro senza le 3 organizzazioni che al momento la controllano?

venerdì 16 febbraio 2018

Principe libero è una cagata pazzesca (semicit.)

Crescendo ho imparato che nel campo delle emozioni è impossibile trovare 2 persone che messe difronte alla stessa cosa, reagiscano alla stessa maniera. Le emozioni, belle o brutte, sono il carattere distintivo di ognuno di noi, che appunto ci distingue forse meglio di DNA ed impronte digitali.

Questa è la premessa che ho fatto a me stesso quando alla fine della prima parte trasmessa Martedì, ho provato a chiedermi cosa ne pensassi di Principe libero, il film su de Andrè interpretato da Luca Marinelli.

Sarò schietto con voi, 3-4 che starete leggendo questo blog. A me è parso una immane schifezza oltre che un'opportunità mancata.

Il mio "schifezza" è quello che è. Non sono un cinefilo. Guardo 10-12 film all'anno se tutto va bene e se c'è un film che mi acchiappa mi auguro con tutto il cuore che sia il più lineare ed aderente alla realtà possibile. Non mi piacciono le re-interpretazioni nè chi si lancia in romanzate da puro esercizio di stile.

Quando mesi fa ho scoperto che era in cantiere un film su de Andrè il mio primo pensiero è stato "speriamo che mamma Rai spenda bei soldini per questo prodotto". Temevo sin da allora che il risultato potesse essere la classica docu-fiction in 2 puntate in stile Beppe Fiorello. Espressività di una pianta secca, ambienti spogli come un albero in inverno, fotografia con blu per la notte e gialli per il giorno e sceneggiatura piatta come una tavola da surf.



Ecco: questo è Principe libero. Nè più nè meno. Un film mediocre che non si sarebbe dovuto fare. Un film che se affidato ad altre produzioni avrebbe potuto far conoscere al popolo italiano ed alle nuove generazioni (ci torno su questo punto) un personaggio che meriterebbe di entrare nei manuali di letteratura italiana per meriti nettamente superiori rispetto a ben più noti autori italiani di tutte le epoche.

Faccio fatica a credere che con un prodotto simile, si sia trasmesso l'input di interesse nei confronti di de Andrè al telespettatore medio. Anzi vi dirò, da un rapido giro di consultazioni avuto con parenti etc, è venuto fuori che per finire la seconda puntata son serviti gli stecchini agli occhi.

Faccio però fatica a credere che la colpa sia della musica di de Andrè. Voglio dire: giovani o meno giovani esiste una fetta di italiani che continuano ad ascoltare Faber in qualunque salsa. I concerti delle sue cover band riempiono i locali all'inverosimile ed alcune delle pagine più in voga sui social usano sistematicamente o citano con costanza le sue citazioni per platee spesso molto diverse.

Parlo di opportunità mancata perchè vedete (e qui entriamo nel campo del personale) se io mi domandassi quando ho iniziato a farmi qualche domanda seria sulla mia fede, ad esempio, non avrei dubbi nel rispondermi "in seguito all'ascolto de Il testamento di Tito". Se dovessi chiedermi quando ho iniziato seriamente a domandarmi che cosa sono i modelli di organizzazione statale, mi risponderei "in seguito all'ascolto de Storia di un impiegato".

Un film che a malapena abbraccia 2 dei temi più importanti della lirica del personaggio che tenta di dipingere, brucia il personaggio e l'opportunità di allargare su una più ampia platea gli stessi quesiti che milioni di ascoltatori di de Andrè prima o poi si son fatti, uscendo da quel processo di indagine personale con un "carattere" o una opinione. Cosa che vi dirò, alla luce di un 40% probabile si astensione alle prossime elezioni ed un diffuso senso di indifferenza nei confronti di alcuni temi come quello politico, male non c'avrebbe fatto.

Guardate: non vorrei che passasse il messaggio che solo se ascolti de Andrè puoi interrogarti su certi temi o che dato che l'ho fatto io, lo devono far tutti. Ho letto queste obiezioni sui social e le ritengo un non argomento.

Qualunque cosa susciti da una emozione ad una domanda esistenziale o personale, è ben accetta. Ma quando ci si ritrova per le mani la storia di un cantautore che sulla ricerca delle risposte ad una lunga serie di quesiti ha fondato la propria fama, è dovere degli sceneggiatori battezzarne almeno uno e provare a narrarlo in maniera quantomeno sufficiente.

Prendete la scena in cui il giovane de Andrè va nei carrugi di Genova abitati dalle PUTTANE (hai visto mai che si usa sto termine su Rai 1). Possono essere sufficienti 40 secondi di film per coprire il tema alla luce della lirica prodotta da de Andrè in materia? Possono essere realizzate scene in cui compaiono le alici e parte la musica che parla delle alici? E' mai possibile ad esempio limitare Amico fragile a 10 secondi nei titoli di coda della fine della prima parte?

Evidentemente si. Io, che almeno qui son libero di dire quello che penso senza troppi freni, vi dico che farlo è una furfanteria che mi induce a credere che Principe libero altro non sia che un modo per far soldi spendendo 2 lire di produzione.

E vengo all'ultimo tema prima di chiudere questo mio sproloquio notturno. Vi ho parlato di occasione persa nei confronti delle nuove generazioni. Ecco voglio approfondire questo tema sparando a 0 sulla questione.

Trovo davvero imbarazzanti i testi di alcuni dei nuovi, come vogliamo chiamarli cantanti?, o band appartenenti all'ondata italiana. Ho fatto "sforzi" personali enormi per ascoltare determinati dischi e se penso a cosa diamine giovani e meno giovani sono disposti a sciropparsi, mi sale il nervoso per chi nei confronti di de Andrè, più o meno dice che è una merda.

Presa una playlist a caso su Spotify faccio fatica a salvare il 10% dei pezzi inseriti lì dentro per un movito legato ad un testo o alla musica. Roba no-sense di gente convinta che sparpagliare nel periodo soggetto predicato e complemento sia la chiave del successo. "Artisti" che cantano con lo scazzo e che intervistati su Repubblica dicono di rifarsi al modo di cantare proprio di de Andrè (!!!!), che in realtà sembrano più in preda a crampi allo stomaco che altro. Senza poi dimenticarci della musica, del beat, del come cavolo volete chiamarlo voi.

Provate a fare un gioco. Togliete la musica o la musica o un testo ad un pezzo di de Andrè e ditemi da 0 a 100 quanto perde quel pezzo. Provate a farlo con uno di questi nuovi artisti e ditemi la stessa cosa. Se, ad esempio, vi verrà in mente (in una forma di onestà della quale vi stupirete da soli) che togliere la musica di un pezzo di Ghali, sposta poco o nulla visto che è lì non si sa bene perchè, vuol dire che siete sulla giusta strada.

Ora non dovete far altro che versarvi 1 dito di whiskey, mettere su Amico fragile e godervi gli alti e bassi della vita.