mercoledì 23 marzo 2016

Bruxelles - L'elefante europeo contro il giaguaro jihadista

I fatti accaduti oggi hanno dato il là al solito giro di opinioni da talk show. Nulla di nuovo sotto il sole, se non la riconferma che solo in pochissimi spazi televisivi c'è vero approfondimento politico, mentre altri si confermano carrozzoni insopportabili a cui partecipano tutte le decine di persone smaniose di tirare acqua al proprio mulino, cercando agganci astrusi con i fatti di giornata, tristemente bramosi di raggiungere una posizione sociale o politica migliore rispetto a quella attuale.

In breve: viva Mentana e che Dio ci salvi da tutto il resto dei talk show.


Detta questa cosa doverosa a mio avviso, ciò che mi è passato per la testa nelle ore in cui tramite lo speciale di Mentana guardavo i video degli attimi di Bruxelles, è che i sistemi di sicurezza europei stanno reagendo con tempi di ordini di grandezza infinitamente maggiori rispetto a quelli dei terroristi che seminano morte tra le nostre strade.

Mi spiego: se dovesse essere confermata la tesi secondo la quale gli attentati sono stati compiuti come rappresaglia circa le operazioni che hanno portato alla cattura di Salah-coso, vuol dire che la rete terroristica jihadista è in grado di mobilitarsi, armarsi e schierarsi in poco più di 72 ore.

Tempi così ristretti presuppongono che la rete terroristica abbia già portato a termine la fase di individuamento dei luoghi sensibili e delle relative falle di sicurezza.

I jihadisti dunque potrebbero aver già mappato i nostri obiettivi sensibili avendo dalla loro la possibilità di attaccare o meno uno di questi sulla base delle nostre risposte in termini di sicurezza, dislocate a seguito di questi attentati.

Questo elemento, diciamoci la verità, potrebbe già tenerci in situazione di scacco. Nelle loro teste il monumento X, l'evento Y, il personaggio Z potrebbe già essere stato incluso tra i fatti neri portati a segno in Europa, semplicemente perchè è già chiaro come attaccare senza che nessuno possa accorgersi del piano criminale o valutare un intensificamento delle misure di sicurezza.




Immaginate un elefante (l'Europa) contro un giaguaro (i kamikadze jihadisti). Ciò che entrambi i contendenti hanno a disposizione è la capacità di infliggere danni seri al loro avversario, l'uno grazie alla sua stazza, l'altro grazie alle sue fauci in grado di sbranare qualunque essere vivente lasciandogli pochi margine di fuga.

I motivi per cui in un combattimento del genere il giaguaro sarà sempre favorito sono l'agilità di spostamento e la velocità. Difronte ad una zampa d'elefante che si alza e che lentamente si muove in avanti e cerca di schiacciare il nemico, c'è un essere vivente in grado di scansare quell'attacco e sfruttare il non-equilibrio di qualche secondo dell'elefante, a proprio vantaggio per portare danni irreparabili all'elefante stesso.

L'Europa è l'elefante che mentre cerca di schiacciare i jihadisti cercando di attuare nuovi piani di sicurezza o mettendo su finte-nuove-pseudo reti di intelligence, si espone alla capacità di qualche decina di giaguari che in meno di 72 ore riescono a farla cadere nel panico e nello sconforto difronte all'ennesimo atto di terrorismo.

Di guerre in cui il contendente meglio armato è tornato a casa con le pive nel sacco, sono pieni i libri di storia dello scorso secolo. Forse è proprio sulla base della continua verifica della tesi per cui non è importante la dimensione del martello ma la maestria di chi lo utilizza, che oggi non lasciamo più che si occluda la vena con conseguenti azioni di scarponi sul terreno.

Il punto è che forse siamo giunti ad una conclusione corretta (evitare azioni di guerra old-style) attraverso la strada sbagliata e che dunque le contromisure che mettiamo in campo e che crediamo possano annientare il nostro nemico, non siano nient'altro che conclusioni sbagliate frutto di ragionamenti basati su ipotesi non corrette.

L'Europa dei prossimi mesi dovrà risolvere il problema dei tempi di reazione se vorrà uscire da queste situazione di scacco in cui chi combatte è troppo più veloce e cosciente delle debolezze del suo avversario. Riuscire in questa impresa è un obbligo. Farcela, vista l'attuale frammentazione politica dell'Unione, è ahimè tutt'altro che facile...


lunedì 21 marzo 2016

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.


Questo post è frutto della puntata di ieri sera di Gazebo. Il programma di Rai 3 condotto da Diego Bianchi per cui forse ha ancora un senso pagare il canone Rai.

Per spiegarvi in breve cosa mi passa per la testa potrei servirmi di sole 5 parole: NON HA ALCUN FOTTUTO SENSO.



Quelle che vedete sono foto che immortalano il tentativo di qualche migliaio di profughi siriani in fuga dalla guerra, di aggirare il blocco della frontiera tra Grecia e Macedonia, su quella che è ormai divenuta nota come "rotta balcanica" e che nelle scorse settimane ha permesso a migliaia di loro connazionali di lasciare la Siria alla ricerca di un luogo migliore dove vivere in pace.

Il tentativo, rivelatosi poi vano, consisteva nell'attraversare un fiume vicino al "campo profughi" alle porte di Idomeni, per proseguire il cammino alla volta dell'Europa attraverso un valico di montagna sprovvisto di reti metalliche e filo spinato, che avrebbe permesso loro di aggirare la scellerata politica macedone di tenere le frontiere chiuse in cambio chissà di qualche miliardo di euro da parte dell'Unione Europea.



Queste immagini mi colpiscono per due motivi.


Il primo è il coraggio. So che in situazioni di difficoltà spesso la mente umana supera barriere impensabili fino a quel momento, compiendo gesti di portata eroica. 

Ecco, quando guardo queste immagini, penso a che genere di coraggio ci voglia per superare l'assurdità del pensiero di un viaggio di migliaia di km a piedi, dalla Siria alla Germania (almeno) da compiere nella quasi più totale povertà di mezzi e risorse, con la possibilità che intoppi come questo della chiusura delle frontiere, possano costringerti a giorni, settimane, mesi in posti come il campo profughi di Idomeni, dove potresti ritrovarti a dormire nel fango in 4-5-6 all'interno di una tenda per 2 persone, con l'acqua di una primavera che non vuole arrivare, che bagna il tuo corpo per tutta la giornata e con pasti limitati ad un po' di questo o un po' di quello donato da associazioni internazionali organizzatesi sul posto alla bene e meglio e sicuramente inadeguate per le migliaia di profughi ormai impantanati in quella tappa del viaggio.


Provo a pormi nei panni di questi EROI (e mai termine fu più azzeccato) che nonostante tutte queste prospettive nefaste si mettono in cammino.

Certo, dove vivi c'è una guerra e se
non scappi rischi di finire nelle mani dell'Isis 
o di morire sotto i bombardamenti di non ben precisate coalizioni, o di beccarti una pallottola mentre cerci di uscire per raggiungere il forno della città per portare a casa un po' di pane. Ma anche difronte a ciò devi avere un coraggio assurdo per intraprendere questo viaggio.

La seconda cosa che mi colpisce sono i volti di questi bambini. Nella puntata che vi ho linkato avete avuto modo di vedere come essere bambini, forse, ha qualche vantaggio se ci si ritrova imbarcati in questo esodo dai contorni epici. La mente di un bambino non vede la maggior parte delle difficoltà di questo viaggio e riesce a sorridere di un pallone giocato in un campo, tra fango e freddo, o di una pozzanghera nella quale lanciarsi senza paura di sporcare scarpe, pantalone o maglia.

Ma un bambino è in grado di percepire la paura e la tensione. E quando tuo papà ti tiene col braccio destro, mentre con il sinistro da la mano alla tua sorellina che attraversa il fiume piangendo, non credo che ci sia età che tenga difronte ad una tensione del genere.

Sempre guardando queste foto penso al fatto che con assoluta certezza, in quei fagotti sono avvolti i futuri medici europei che cureranno la mia generazione ormai composta da 50-60enni, 
di avvocati che ci assisteranno nelle beghe condominiali, ingegneri o architetti ai quali ci affideremo per ristrutturare casa o progettare la veranda del balcone. Ragazzi figli di un esodo, cresciuti nel fango, nati in tempo di guerra, venuti su con un pezzo di pane il cui destino probabilmente è stato deciso da un si o un no di uno stato.

Una generazione di Erasmus forzato. Diversa da quella delle vite spezzate nell'incidente di ieri in Spagna, non per condizioni economiche ma per scelte politiche. Scelte di un unione che incentiva l'interculturalità tra paesi aderenti e che manda i suoi figli a studiare in giro per le grandi città europee, ma che non riesce a far fronte ad un esodo pari allo 0.2% della propria popolazione, che scappa da luoghi in cui esiste una guerra perchè quando avremmo potuto intervenire politicamente, abbiamo scelto di girarci dall'altra parte, sperando che il nostro alleato oltreoceano sistemasse le beghe dell'appartamento affianco al nostro, sulla via del mondo. 

Difronte a queste immagini mi piange il cuore e mi domando perchè se non politicamente, non si intervenga con maggiore efficacia sui luoghi simbolo di questo esodo, cercando di assistere come solo un stato o un insieme di stati può fare, quel fagotto di topolina che contiene il medico, l'avvocato, l'architetto o l'ingegnere del futuro di cui certamente ci serviremo quando ne avremo bisogno. 

Bella..