mercoledì 7 marzo 2018

Nella testa di Matteo (Renzi)

Sto rivedendo la conferenza stampa di Lunedì scorso. Quella nella quale Renzi, riassumendo, annuncia le proprie dimissioni da segretario del Partito Democratico ma allo stesso tempo le posticipa di qualche settimana per poter guidare i giochi parlamentari che porteranno a) all'elezione dei nuovi Presidenti di Camera e Senato b) all'accettazione dell'incarico da parte di Salvini (o chi per lui) di formare un nuovo governo con relative consultazioni c) all'eventuale insediamento del nuovo governo.

Come penso sappiate sono un profondo cultore delle tecniche di management e delle strategie con le quali qualunque capo-struttura regge e domina il suo piccolo "feudo".

Mentre scorrono i minuti della conferenza stampa, riecheggiano nella mia testa i commenti di amici, conoscenti e web che recitano più o meno così:

Matteo è morto. No, Matteo è porco. No no: Matteo è scemo. Ma che dite?! Matteo è proprio ritardato.

Voglio dirlo chiaramente: ho votato PD sia alla Camera che al Senato (in maniera indiretta in un caso, ma la sostanza è quella).

Questo però, e ne sono abbastanza certo, non influenza la parte di me che in queste ore si è studiata i vari numeretti ed ha provato a capire tramite il passato, il perchè del presente e la via del futuro.

Partiamo dal passato.

CIAO CIAO ALLA DITTA - La rottura con i Bersani/D'Alema&co. è stato il gesto che secondo molti ha portato alla sconfitta nelle elezioni di Domenica. Ma le parole in politica contano fino al giorno prima delle elezioni. 1h dopo la chiusura delle urne contano le X che si son trovate e quelle che eventualmente si son perse.

7.5M sono state le X incassate dal PD ed iniziamo a mettere i punti sulle i: gli 800.000 voti della Bonino son voti PD. Se non tutti, un buon 80-90% di coloro che hanno affidato la propria X al simbolo della leader radicale, sono elettori PD che nel proprio seggio avevano gente un po' meh alla quale non era proprio possibile dare il sostegno diretto.

Gli alleati del PD, assieme (o Insieme) valgono circa mezzo milione di voti.

Se confrontati con le elezioni del 2013, all'appello mancano 2.5M di voti.

Dove sono finiti?

1.1M di voti sono finiti in un progetto, definito da Mentana (ave Chicco, lode a te ed alla tua Maratona) "nato morto".

Liberi ed Uguali. Sottotitolo: noi non è che non siamo d'accordo con Renzi. E' che proprio non ci piace ammettere che nel 2018 non rappresentiamo più nulla ma dato che qualche sacca di consenso per l'Italia ancora l'abbiamo, ci pareva brutto non farla fruttare alle elezioni per portare a casa una ventina di posti parlamentari.

Ed è qui che il manager da 2 soldi che è in me, va a richiamare un concetto di gestione dei progetti fondamentale: il trade-off.

Vi lascio il link della pagina Wikipedia nella quale potrete trovare degli esempi pratici che vi spiegano di che cosa stiamo parlando.

Ora immaginate questo scenario. Siete a capo di un partito di sinistra nell'era post-ideologica. Sapete per certo che i temi della prossima campagna elettorale sono temi più vicini alla destra e c'è poco o nulla che si possa fare per riportare l'agenda politica verso temi più vicini all'area del centrosinistra. Tradotto in parole povere: le prossime elezioni si perdono e non ci sono cazzi.

Difronte a questo scenario meglio allearsi con una frangia di politici e politicanti che frena qualunque cambiamento, che grava sulle decisioni politiche, che a livello di comunicazione da costantemente l'idea all'italiano medio di una sinistra divisa e che all'atto pratico non si sa bene chi e quanti voti vale, o andare da soli, incassare una fragorosa sconfitta ma poter contare su una successiva libertà di rifondare il partito senza il peso dei signori sopracitati?

Eccolo il trade-off. O costo opportunità. O la situazione in cui la scelta tra più possibilità costituisce la perdita di valore di una e l'aumento di valore dell'altra o viceversa.

La decisione presa da Renzi di andare da solo e di lasciare che fossero gli elettori a giudicare la sua scelta, è stata azzeccatissima. Il PD ha incassato la sconfitta pratica preannunciata, seppur lasciando per strada almeno una milionata e mezzo di voti in più, ma già da oggi ha potuto revocare il badge di ingresso al Nazareno a vari elementi che da anni rallentano il processo di evoluzione della sinistra NECESSARIO affinché questa riesca a stare al passo dei tempi e della società.

IL PRESENTE - La dichiarazione di Renzi rilasciata ieri, a 24 ore dalla conferenza stampa non è per certo il frutto del caso. Renzi ha in mente una seconda fase di "epurazione".

Epurazione di chi? Ed in che modo? (Lo vedete? E' sempre questione di strategia)

Va dato atto del fatto che all'interno del PD non sono rimasti solo coloro che non credono ai sondaggi sulle nuove formazioni politiche (che tendono a sovrastimare sempre il reale consenso di queste formazioni: prendete il 7% di LeU, il 3% possibile secondo i sondaggi per CPI ed il Popolo della famiglia, ma anche le vecchie stime di NCD e le varie liste Monti) ma anche coloro che credono che all'interno di un partito possano convivere una pluralità di opinioni su un determinato argomento.

Ai primi va dato scacco, ai secondi va fatto capire come stanno le cose.

Già ma scacco a chi? Va dato scacco ai vari Cuperlo&co. Inetti incapaci rimasti all'interno del PD per poter giocare al gioco degli indecisi o quello dei malpancisti. Insomma attention whore che su ogni singolo argomento ritengono di poter mettere bocca strutturando la propria figura politica con una serie di contatti di stampa pronti a dar voce alla solita manfrina secondo la quale in un partito le decisioni non le prende il capo ma vanno rispettate le idee di tutti. Il preludio, dal punto di vista manageriale, del disastro insomma.

Agli Emiliano invece vanno fatte capire alcune cose. Tipo? Non è un segreto che le politiche di Emiliano siano quanto di più vicino all'interno del PD al fronte dei 5 stelle. E badate bene: io non credo che non la si possa pensare come loro ma ritengo particolarmente dannoso che lo si pensi cercando di indirizzare la propria ditta verso la direzione presa da quella concorrente.

Managerialmente parlando non potrà mai nascere e prosperare la copia spiccicicata di Apple, o di Mercedes, o di Facebook o di quello che volete voi.

Non mi credete? Vi sfido a farvi degli esempi, mentre vi propongo quello che sul mio libro di Impianti Industriali c'è scritto più o meno a riguardo. Come potete leggere affinchè  una strategia "segui il leader" possa dare i suoi frutti sono necessarie delle condizioni ben precise. Condizioni che in politica è impossibile comunicare. Ce lo vedete il PD che parla di reddito di sussistenza e riesce a far capire agli elettori che si tratta di una riorganizzazione di detrazioni, sconti e sussidi rispetto all'effetto diretto del reddito di cittadinanza 5 stelle? Se, caro lettore, lo sbadiglio è arrivato a te che hai letto queste 2 righe, figurati cosa può succedere all'italiano medio sintonizzato su Porta a Porta ad orario "notte alta e sooooooooono sveglio...." marzulliano.

Gli Emiliano&co. devono dunque capire che MAI E POI MAI il capo di una struttura potrà dare l'ok per far si che la propria azienda produca o si metta a collaborare per la produzione del prodotto di punta di qualcun'altro. Per il PD, una alleanza finanche puntuale con i 5 stelle, sarebbe un vero suicidio di medio-lungo termine. Il rischio è quello di appaltare ad una forza poco moderata temi di gestione di una società cruciali.

Chi vuol farlo deve uscire allo scoperto, spiegarlo in maniera chiara ai propri elettori ed intraprendere un cammino diverso. Mi limito a darvi una chiave di lettura: voi ve lo ricordate un politico notoriamente di sinistra o destra, che passato nello schieramento opposto, abbia riscosso consenso nella tornata elettorale successiva? Io no. Magari mi sbaglio. Magari no. Magari il mercato non mente e preferirà sempre il VERO 5 stelle all'esponente PD passato a... D'altronde potendo scegliere, perché mai accontentarsi di una brutta copia?

IL COMBINATO DISPOSTO DI PASSATO E PRESENTE CI DA IL FUTURO - Senza dubbio ci troviamo davanti ad un piano ben architettato da chi non ha fretta di governare oggi e di chi attende al varco coloro che hanno scalpitato per vincere questa tornata elettorale promettendo qualunque cosa e che inevitabilmente dovrà fare i conti con 1) gli effetti di questa legge elettorale 2) le difficoltà di tradurre in atti pratici, le promesse fatte in campagna elettorale.

Guardate c'è poco da filosofare a riguardo: l'Italia spende più di quanto incassa. Per farlo ricorre alle emissioni di buoni del tesoro pluriennali (BTP) il cui tasso di interesse è deciso dai mercati che valutano 2 aspetti. Il primo è l'avanzo primario, ossia la differenza tra Ricavi e Costi pre-interessi sul debito. Il secondo è la previsione di spesa futura. Se la Lega dovesse implementare la flat tax (meno ricavi in termini di introiti fiscali) e rivedesse al rialzo le previsioni di spesa (addio legge Fornero, più pensioni e quant'altro = maggiore spesa), il mercato chiederà all'Italia tassi di interessi più alti per il denaro dato in prestito. E c'è proprio 0 complottismo a cui appellarsi. La consecutio tra come amministri le tue risorse e tassi di interesse è molto più antica dell'Unione Europea, della Bce, di Mario Draghi e compagnia varia.

Ma se da una parte è abbastanza chiaro che qualora si dovesse formare un governo con Matteo Salvini Premier, l'immobilismo politico fattuale la farebbe da padrone (niente flat tax, niente revisione della Fornero etc, una sorta di Trump negli Usa), dall'altro bisogna fare i conti con l'effetto del fallimento politico che non poter formare un governo potrebbe creare per le forze uscite vincitrici da questa tornata elettorale.

Partiamo dai 5 stelle: se Mattarella dovesse affidare l'incarico a Di Maio lo scenario più plausibile è quello di una forza che si rivolge alle aule senza alcun tipo di concessioni. Di Maio non troverebbe la fiducia e la tempesta che si scatenerebbe sui 5 stelle incapaci di governare senza maggioranza parlamentare, infurierebbe sulle colonne di ogni giornale, nei link di ogni sito e sulle poltrone di ogni sacrosanto talk, con la possibilità che vadano in fumo tutti i voti di protesta convenuti sui pentastellati dagli elettori meno fedeli di cdx e csx.

Qualora Mattarella dovesse dare l'incarico ad un premier di cdx le uniche chance di formare il governo sono legate ai dissidenti di csx più qualche pre-epurato 5 stelle. Che un governo si crei su questi presupposti è pressoché impossibile: 1. perché il numero di voti necessari al cdx per avere la maggioranza alla Camera ed al Senato, sono tanti (60-70) 2. perché mai e poi mai Mattarella farebbe nascere un governo con numeri così risicati e pieno di incognite con un orizzonte di vita non più lungo di 1 anno.


Ciò che invece potrebbe verificarsi è la nascita di un governo tecnico. Un governo che preso atto dell'impossibilità di partorire un sistema elettorale maggioritario con premio di maggioranza, potrebbe optare per un sistema a doppio turno con ballottaggio tanto caro a Renzi e che di fatto metterebbe alla corda gli elettori che a questo giro hanno premiato LeU. Con quella legge elettorale, la dispersione del voto sarebbe un fatto serio e potete star certi che l'orizzonte di Berlusconi (riabilitato nel frattempo) Presidente o peggio, farebbe rientrare quella milionata di voti usciti da una porta ma pronti a rientrare dal portone (a cui vanno sommati circa mezzo milione di voti raccattabili da altre formazioni sinistroide).


CONCLUSIONI - La probabilità che io mi stia sbagliando su tutta la linea è presente. Ma vorrei che non vi lasciaste fuorviare dalle righe spese dai giornali che devono vender copie o accumulare click.

Le elezioni, come disse un saggio, sono come un concorso pubblico. Se il posto è buono conviene vincerle. Se il posto è disastrato, mal pagato e precario, tanto vale saltare un giro, continuare a far le cose per bene ed aspettare il concorso successivo facendo leva sulle disgrazie altrui.

E questo mi sa che Matteo l'ha capito molto...molto bene.

martedì 27 febbraio 2018

Siria - Ghouta (for dummies)

Ghouta.

Ghouta in arabo significa oasi ed in effetti, prima dell'inizio del conflitto civile siriano, Ghouta era una vera oasi. Una lunga serie di canali millenari utilizzati per l'irrigazione, avevano contribuito a creare un territorio ricco di vegetazione e popolato da oltre 2 milioni di persone a pochi passi dalla capitale dello stato siriano Damasco.

Poi venne la guerra e con essa morte, distruzione e tantissime contraddizioni geo-politiche che in queste ore stanno venendo al pettine.

Ma vediamo di fare ordine.

Qualche giorno fa su Twitter è stato caricato un video che riprende una colonna di mezzi militari in marcia verso Damasco. La colonna è lunghissima (2Km secondo chi riprende la scena) ed è il segnale inequivocabile che Bashar Al-Assad, leader siriano, è intenzionato a riprendersi Ghouta dopo essersi ripreso la maggior parte del territorio e delle grandi città siriane precedentemente in mano all'ISIS ed alle cosiddette fazioni di ribelli.

Ghouta è un enclave ormai da anni. Nessuno entra e nessuno esce da quei 12 kilometri quadrati di territorio che lo compongono. Niente o nessuno a parte le bombe. 


Tecnicamente parlando le bombe piovono su Ghouta per effetto dei bombardamenti condotti dall'aviazione siriana e russa intervenuta anni fa a sostegno di Bashar Al-Assad per formare una coalizione che al terzo vertice del proprio triangolo vede l'Iran (sciita).

Ma a Ghouta le bombe entrano anche attraverso una fitta serie di tunnel che riforniscono i combattenti che si oppongono ad Assad, di esplosivi, munizioni, missili e spesso anche di uomini.
Le bombe che piovono su Ghouta seminano morte e terrore perchè non va dimenticato che Ghouta non è un enclave disabitato, ma che in esso vivono ancora 400.000 siriani circa, oltre ad un numero che va dai 10.000 ai 20.000 ribelli jihadisti.

La conta dei morti a causa dei bombardamenti è un mero esercizio, spesso di sola propaganda. Un bombardamento che fa 10 morti è tanto grave quanto un bombardamento che ne fa 1.000 se a morire sono civili che col conflitto hanno poco o niente a che fare. Ma l'effetto propaganda della conta dei morti viene amplificato o minimizzato ad arte dalle fazioni coinvolte per accendere o spegnere i riflettori internazionali su un caso spinoso che potrebbe mettere più di qualche stato in difficoltà con la propria opinione pubblica.

Quello che va specificato è che il conflitto siriano del 2018 ha poco o nulla a che fare con il prosieguo della primavera araba che aveva infiammato diversi stati a ridosso del Mediterraneo tra cui Libia ed Egitto.

La rivoluzione del 2011 che diede vita al conflitto civile ha visto buona parte dei partecipanti fuggire dalla Siria o morire per gli effetti della repressione sanguinosa della rivolta attuata da Bashar Al-Assad nei primi mesi della crisi.

Il conflitto siriano del 2018 è un conflitto tra Assad ed una lunga serie di forze para-militari sovvenzionate in maniera diretta o indiretta da tutti coloro che in Siria vedono interessi di tipo politico, economico o religioso.

Ghouta non è da meno. Quelli che i media occidentali fino a qualche anno fa chiamavano ribelli moderati oggi sono diventate brigate di stampo salafita o wahhabita finanziate e armate da uomini spesso legati ai governi di Arabia Saudita e Qatar.

A dividersi la dozzina di grandi città che compongono l'enclave a nord-est di Damasco ci sono Hayat Tahrir al Sham, Jaysh al Islam e Faylaq al Rhaman, che condividono poche cose se non l'assenza di una vera agenda politica, economica e sociale per i territori che controllano ed il sogno di instaurare un nuovo regime fondamentalista ed ultraconservatore da imporre, essenzialmente, con le armi.

Ed il problema di Ghouta è proprio questo.

Da una parte c'è l'umano e diffuso desiderio di fermare le azioni militari siriano-russe che causano ogni giorno morte e distruzione, ma dall'altro la logica secondo la quale l'unico modo per fermare tutto questo è eradicare dal territorio queste fazioni che usano la popolazione come scudo umano (diversi i casi di famiglie recluse ai piani alti di stabili adibiti al deposito delle armi in modo da scongiurare un possibile bombardamento) o come ostaggio per instaurare una trattativa che possa portare all'ingresso di cibo, medicine e beni di prima necessità nell'enclave.

La rivoluzione in nome della democrazia, in questo caso, è totalmente assente. D'altronde si fa fatica a credere che a lottare per una Siria migliore ci sia Hayat Tahrir al Sham, fronte siriano dell'Al Qaeda di Osama Bin Laden, che a Ghouta è nota per diverse azioni rivolte non solo contro il fronte dell'esercito siriano, ma anche contro le altre organizzazioni con cui divide il territorio, per questioni di supremazia territoriale ed approvigionamento di armi e danari dei vari sponsor.

Del futuro di Ghouta se ne parla spesso in 2 luoghi. Uno è Astana (ultimamente si è preferito Sochi), capitale del Kazakistan, che spesso ha ospitato degli incontri multilaterali tra emissari del governo siriano, russo, iraniano e turco volti a definire con i pari ruolo espressi dalle varie fazioni che si dividono Ghouta, i passi successivi del conflitto. Da questo tavolo non è mai venuta fuori una bozza risolutrice che potesse mettere fine ai continui bombardamenti sull'area. D'altronde la non-ufficialità dell'evento lasciava liberi i partecipanti di potersi impegnare o meno per una soluzione della faccenda seria.

L'altro tavolo invece è a New York.

Nelle scorse ore il consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato all'unanimità un cessate il fuoco di 30 giorni che dovrebbe fermare i bombardamenti "indiscriminati" su Ghouta. Tale risoluzione è stata accettata dalla Russia (che comanda le trattative per conto della Siria) a patto che non fossero vietate le azioni contro ISIS ed Al-Qaeda (o gruppi ad essa affiliati).

La risoluzione ha fatto storcere più di qualche naso. All'atto pratico, vista la conformazione del conflitto e gli attori coinvolti, questo atto non salverà Ghouta (e gli altri territori inclusi, ma che al momento rappresentano fronti freddi ossia non particolarmente attivi dal punto di vista delle operazioni militari) in nessun modo da ciò che sta accadendo in queste ore e che con molta probabilità proseguirà nelle prossime almeno fino a quando Mosca e Damasco lo vorranno.

La domanda dunque nasce spontanea: all'Occidente importa veramente qualcosa di Ghouta o il tram tram di dichiarazioni rilasciate in queste ore da vari esimi membri del consiglio stesso, altro non sono che un modo per lavarsi la coscienza e l'immagine davanti alla propria opinione pubblica? Non solo.

Per Ghouta c'è da augurarsi un mero cessate il fuoco o un futuro senza le 3 organizzazioni che al momento la controllano?

venerdì 16 febbraio 2018

Principe libero è una cagata pazzesca (semicit.)

Crescendo ho imparato che nel campo delle emozioni è impossibile trovare 2 persone che messe difronte alla stessa cosa, reagiscano alla stessa maniera. Le emozioni, belle o brutte, sono il carattere distintivo di ognuno di noi, che appunto ci distingue forse meglio di DNA ed impronte digitali.

Questa è la premessa che ho fatto a me stesso quando alla fine della prima parte trasmessa Martedì, ho provato a chiedermi cosa ne pensassi di Principe libero, il film su de Andrè interpretato da Luca Marinelli.

Sarò schietto con voi, 3-4 che starete leggendo questo blog. A me è parso una immane schifezza oltre che un'opportunità mancata.

Il mio "schifezza" è quello che è. Non sono un cinefilo. Guardo 10-12 film all'anno se tutto va bene e se c'è un film che mi acchiappa mi auguro con tutto il cuore che sia il più lineare ed aderente alla realtà possibile. Non mi piacciono le re-interpretazioni nè chi si lancia in romanzate da puro esercizio di stile.

Quando mesi fa ho scoperto che era in cantiere un film su de Andrè il mio primo pensiero è stato "speriamo che mamma Rai spenda bei soldini per questo prodotto". Temevo sin da allora che il risultato potesse essere la classica docu-fiction in 2 puntate in stile Beppe Fiorello. Espressività di una pianta secca, ambienti spogli come un albero in inverno, fotografia con blu per la notte e gialli per il giorno e sceneggiatura piatta come una tavola da surf.



Ecco: questo è Principe libero. Nè più nè meno. Un film mediocre che non si sarebbe dovuto fare. Un film che se affidato ad altre produzioni avrebbe potuto far conoscere al popolo italiano ed alle nuove generazioni (ci torno su questo punto) un personaggio che meriterebbe di entrare nei manuali di letteratura italiana per meriti nettamente superiori rispetto a ben più noti autori italiani di tutte le epoche.

Faccio fatica a credere che con un prodotto simile, si sia trasmesso l'input di interesse nei confronti di de Andrè al telespettatore medio. Anzi vi dirò, da un rapido giro di consultazioni avuto con parenti etc, è venuto fuori che per finire la seconda puntata son serviti gli stecchini agli occhi.

Faccio però fatica a credere che la colpa sia della musica di de Andrè. Voglio dire: giovani o meno giovani esiste una fetta di italiani che continuano ad ascoltare Faber in qualunque salsa. I concerti delle sue cover band riempiono i locali all'inverosimile ed alcune delle pagine più in voga sui social usano sistematicamente o citano con costanza le sue citazioni per platee spesso molto diverse.

Parlo di opportunità mancata perchè vedete (e qui entriamo nel campo del personale) se io mi domandassi quando ho iniziato a farmi qualche domanda seria sulla mia fede, ad esempio, non avrei dubbi nel rispondermi "in seguito all'ascolto de Il testamento di Tito". Se dovessi chiedermi quando ho iniziato seriamente a domandarmi che cosa sono i modelli di organizzazione statale, mi risponderei "in seguito all'ascolto de Storia di un impiegato".

Un film che a malapena abbraccia 2 dei temi più importanti della lirica del personaggio che tenta di dipingere, brucia il personaggio e l'opportunità di allargare su una più ampia platea gli stessi quesiti che milioni di ascoltatori di de Andrè prima o poi si son fatti, uscendo da quel processo di indagine personale con un "carattere" o una opinione. Cosa che vi dirò, alla luce di un 40% probabile si astensione alle prossime elezioni ed un diffuso senso di indifferenza nei confronti di alcuni temi come quello politico, male non c'avrebbe fatto.

Guardate: non vorrei che passasse il messaggio che solo se ascolti de Andrè puoi interrogarti su certi temi o che dato che l'ho fatto io, lo devono far tutti. Ho letto queste obiezioni sui social e le ritengo un non argomento.

Qualunque cosa susciti da una emozione ad una domanda esistenziale o personale, è ben accetta. Ma quando ci si ritrova per le mani la storia di un cantautore che sulla ricerca delle risposte ad una lunga serie di quesiti ha fondato la propria fama, è dovere degli sceneggiatori battezzarne almeno uno e provare a narrarlo in maniera quantomeno sufficiente.

Prendete la scena in cui il giovane de Andrè va nei carrugi di Genova abitati dalle PUTTANE (hai visto mai che si usa sto termine su Rai 1). Possono essere sufficienti 40 secondi di film per coprire il tema alla luce della lirica prodotta da de Andrè in materia? Possono essere realizzate scene in cui compaiono le alici e parte la musica che parla delle alici? E' mai possibile ad esempio limitare Amico fragile a 10 secondi nei titoli di coda della fine della prima parte?

Evidentemente si. Io, che almeno qui son libero di dire quello che penso senza troppi freni, vi dico che farlo è una furfanteria che mi induce a credere che Principe libero altro non sia che un modo per far soldi spendendo 2 lire di produzione.

E vengo all'ultimo tema prima di chiudere questo mio sproloquio notturno. Vi ho parlato di occasione persa nei confronti delle nuove generazioni. Ecco voglio approfondire questo tema sparando a 0 sulla questione.

Trovo davvero imbarazzanti i testi di alcuni dei nuovi, come vogliamo chiamarli cantanti?, o band appartenenti all'ondata italiana. Ho fatto "sforzi" personali enormi per ascoltare determinati dischi e se penso a cosa diamine giovani e meno giovani sono disposti a sciropparsi, mi sale il nervoso per chi nei confronti di de Andrè, più o meno dice che è una merda.

Presa una playlist a caso su Spotify faccio fatica a salvare il 10% dei pezzi inseriti lì dentro per un movito legato ad un testo o alla musica. Roba no-sense di gente convinta che sparpagliare nel periodo soggetto predicato e complemento sia la chiave del successo. "Artisti" che cantano con lo scazzo e che intervistati su Repubblica dicono di rifarsi al modo di cantare proprio di de Andrè (!!!!), che in realtà sembrano più in preda a crampi allo stomaco che altro. Senza poi dimenticarci della musica, del beat, del come cavolo volete chiamarlo voi.

Provate a fare un gioco. Togliete la musica o la musica o un testo ad un pezzo di de Andrè e ditemi da 0 a 100 quanto perde quel pezzo. Provate a farlo con uno di questi nuovi artisti e ditemi la stessa cosa. Se, ad esempio, vi verrà in mente (in una forma di onestà della quale vi stupirete da soli) che togliere la musica di un pezzo di Ghali, sposta poco o nulla visto che è lì non si sa bene perchè, vuol dire che siete sulla giusta strada.

Ora non dovete far altro che versarvi 1 dito di whiskey, mettere su Amico fragile e godervi gli alti e bassi della vita.