lunedì 21 marzo 2016

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.


Questo post è frutto della puntata di ieri sera di Gazebo. Il programma di Rai 3 condotto da Diego Bianchi per cui forse ha ancora un senso pagare il canone Rai.

Per spiegarvi in breve cosa mi passa per la testa potrei servirmi di sole 5 parole: NON HA ALCUN FOTTUTO SENSO.



Quelle che vedete sono foto che immortalano il tentativo di qualche migliaio di profughi siriani in fuga dalla guerra, di aggirare il blocco della frontiera tra Grecia e Macedonia, su quella che è ormai divenuta nota come "rotta balcanica" e che nelle scorse settimane ha permesso a migliaia di loro connazionali di lasciare la Siria alla ricerca di un luogo migliore dove vivere in pace.

Il tentativo, rivelatosi poi vano, consisteva nell'attraversare un fiume vicino al "campo profughi" alle porte di Idomeni, per proseguire il cammino alla volta dell'Europa attraverso un valico di montagna sprovvisto di reti metalliche e filo spinato, che avrebbe permesso loro di aggirare la scellerata politica macedone di tenere le frontiere chiuse in cambio chissà di qualche miliardo di euro da parte dell'Unione Europea.



Queste immagini mi colpiscono per due motivi.


Il primo è il coraggio. So che in situazioni di difficoltà spesso la mente umana supera barriere impensabili fino a quel momento, compiendo gesti di portata eroica. 

Ecco, quando guardo queste immagini, penso a che genere di coraggio ci voglia per superare l'assurdità del pensiero di un viaggio di migliaia di km a piedi, dalla Siria alla Germania (almeno) da compiere nella quasi più totale povertà di mezzi e risorse, con la possibilità che intoppi come questo della chiusura delle frontiere, possano costringerti a giorni, settimane, mesi in posti come il campo profughi di Idomeni, dove potresti ritrovarti a dormire nel fango in 4-5-6 all'interno di una tenda per 2 persone, con l'acqua di una primavera che non vuole arrivare, che bagna il tuo corpo per tutta la giornata e con pasti limitati ad un po' di questo o un po' di quello donato da associazioni internazionali organizzatesi sul posto alla bene e meglio e sicuramente inadeguate per le migliaia di profughi ormai impantanati in quella tappa del viaggio.


Provo a pormi nei panni di questi EROI (e mai termine fu più azzeccato) che nonostante tutte queste prospettive nefaste si mettono in cammino.

Certo, dove vivi c'è una guerra e se
non scappi rischi di finire nelle mani dell'Isis 
o di morire sotto i bombardamenti di non ben precisate coalizioni, o di beccarti una pallottola mentre cerci di uscire per raggiungere il forno della città per portare a casa un po' di pane. Ma anche difronte a ciò devi avere un coraggio assurdo per intraprendere questo viaggio.

La seconda cosa che mi colpisce sono i volti di questi bambini. Nella puntata che vi ho linkato avete avuto modo di vedere come essere bambini, forse, ha qualche vantaggio se ci si ritrova imbarcati in questo esodo dai contorni epici. La mente di un bambino non vede la maggior parte delle difficoltà di questo viaggio e riesce a sorridere di un pallone giocato in un campo, tra fango e freddo, o di una pozzanghera nella quale lanciarsi senza paura di sporcare scarpe, pantalone o maglia.

Ma un bambino è in grado di percepire la paura e la tensione. E quando tuo papà ti tiene col braccio destro, mentre con il sinistro da la mano alla tua sorellina che attraversa il fiume piangendo, non credo che ci sia età che tenga difronte ad una tensione del genere.

Sempre guardando queste foto penso al fatto che con assoluta certezza, in quei fagotti sono avvolti i futuri medici europei che cureranno la mia generazione ormai composta da 50-60enni, 
di avvocati che ci assisteranno nelle beghe condominiali, ingegneri o architetti ai quali ci affideremo per ristrutturare casa o progettare la veranda del balcone. Ragazzi figli di un esodo, cresciuti nel fango, nati in tempo di guerra, venuti su con un pezzo di pane il cui destino probabilmente è stato deciso da un si o un no di uno stato.

Una generazione di Erasmus forzato. Diversa da quella delle vite spezzate nell'incidente di ieri in Spagna, non per condizioni economiche ma per scelte politiche. Scelte di un unione che incentiva l'interculturalità tra paesi aderenti e che manda i suoi figli a studiare in giro per le grandi città europee, ma che non riesce a far fronte ad un esodo pari allo 0.2% della propria popolazione, che scappa da luoghi in cui esiste una guerra perchè quando avremmo potuto intervenire politicamente, abbiamo scelto di girarci dall'altra parte, sperando che il nostro alleato oltreoceano sistemasse le beghe dell'appartamento affianco al nostro, sulla via del mondo. 

Difronte a queste immagini mi piange il cuore e mi domando perchè se non politicamente, non si intervenga con maggiore efficacia sui luoghi simbolo di questo esodo, cercando di assistere come solo un stato o un insieme di stati può fare, quel fagotto di topolina che contiene il medico, l'avvocato, l'architetto o l'ingegnere del futuro di cui certamente ci serviremo quando ne avremo bisogno. 

Bella..




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