Ghouta.
Ghouta in arabo significa oasi ed in effetti, prima dell'inizio del conflitto civile siriano, Ghouta era una vera oasi. Una lunga serie di canali millenari utilizzati per l'irrigazione, avevano contribuito a creare un territorio ricco di vegetazione e popolato da oltre 2 milioni di persone a pochi passi dalla capitale dello stato siriano Damasco.
Poi venne la guerra e con essa morte, distruzione e tantissime contraddizioni geo-politiche che in queste ore stanno venendo al pettine.
Ma vediamo di fare ordine.
Qualche giorno fa su Twitter è stato caricato un video che riprende una colonna di mezzi militari in marcia verso Damasco. La colonna è lunghissima (2Km secondo chi riprende la scena) ed è il segnale inequivocabile che Bashar Al-Assad, leader siriano, è intenzionato a riprendersi Ghouta dopo essersi ripreso la maggior parte del territorio e delle grandi città siriane precedentemente in mano all'ISIS ed alle cosiddette fazioni di ribelli.
Ghouta è un enclave ormai da anni. Nessuno entra e nessuno esce da quei 12 kilometri quadrati di territorio che lo compongono. Niente o nessuno a parte le bombe.
Tecnicamente parlando le bombe piovono su Ghouta per effetto dei bombardamenti condotti dall'aviazione siriana e russa intervenuta anni fa a sostegno di Bashar Al-Assad per formare una coalizione che al terzo vertice del proprio triangolo vede l'Iran (sciita).
Ma a Ghouta le bombe entrano anche attraverso una fitta serie di tunnel che riforniscono i combattenti che si oppongono ad Assad, di esplosivi, munizioni, missili e spesso anche di uomini.
Le bombe che piovono su Ghouta seminano morte e terrore perchè non va dimenticato che Ghouta non è un enclave disabitato, ma che in esso vivono ancora 400.000 siriani circa, oltre ad un numero che va dai 10.000 ai 20.000 ribelli jihadisti.
La conta dei morti a causa dei bombardamenti è un mero esercizio, spesso di sola propaganda. Un bombardamento che fa 10 morti è tanto grave quanto un bombardamento che ne fa 1.000 se a morire sono civili che col conflitto hanno poco o niente a che fare. Ma l'effetto propaganda della conta dei morti viene amplificato o minimizzato ad arte dalle fazioni coinvolte per accendere o spegnere i riflettori internazionali su un caso spinoso che potrebbe mettere più di qualche stato in difficoltà con la propria opinione pubblica.
Quello che va specificato è che il conflitto siriano del 2018 ha poco o nulla a che fare con il prosieguo della primavera araba che aveva infiammato diversi stati a ridosso del Mediterraneo tra cui Libia ed Egitto.
La rivoluzione del 2011 che diede vita al conflitto civile ha visto buona parte dei partecipanti fuggire dalla Siria o morire per gli effetti della repressione sanguinosa della rivolta attuata da Bashar Al-Assad nei primi mesi della crisi.
Il conflitto siriano del 2018 è un conflitto tra Assad ed una lunga serie di forze para-militari sovvenzionate in maniera diretta o indiretta da tutti coloro che in Siria vedono interessi di tipo politico, economico o religioso.
Ghouta non è da meno. Quelli che i media occidentali fino a qualche anno fa chiamavano ribelli moderati oggi sono diventate brigate di stampo salafita o wahhabita finanziate e armate da uomini spesso legati ai governi di Arabia Saudita e Qatar.
A dividersi la dozzina di grandi città che compongono l'enclave a nord-est di Damasco ci sono Hayat Tahrir al Sham, Jaysh al Islam e Faylaq al Rhaman, che condividono poche cose se non l'assenza di una vera agenda politica, economica e sociale per i territori che controllano ed il sogno di instaurare un nuovo regime fondamentalista ed ultraconservatore da imporre, essenzialmente, con le armi.
Ed il problema di Ghouta è proprio questo.
Da una parte c'è l'umano e diffuso desiderio di fermare le azioni militari siriano-russe che causano ogni giorno morte e distruzione, ma dall'altro la logica secondo la quale l'unico modo per fermare tutto questo è eradicare dal territorio queste fazioni che usano la popolazione come scudo umano (diversi i casi di famiglie recluse ai piani alti di stabili adibiti al deposito delle armi in modo da scongiurare un possibile bombardamento) o come ostaggio per instaurare una trattativa che possa portare all'ingresso di cibo, medicine e beni di prima necessità nell'enclave.
La rivoluzione in nome della democrazia, in questo caso, è totalmente assente. D'altronde si fa fatica a credere che a lottare per una Siria migliore ci sia Hayat Tahrir al Sham, fronte siriano dell'Al Qaeda di Osama Bin Laden, che a Ghouta è nota per diverse azioni rivolte non solo contro il fronte dell'esercito siriano, ma anche contro le altre organizzazioni con cui divide il territorio, per questioni di supremazia territoriale ed approvigionamento di armi e danari dei vari sponsor.
Del futuro di Ghouta se ne parla spesso in 2 luoghi. Uno è Astana (ultimamente si è preferito Sochi), capitale del Kazakistan, che spesso ha ospitato degli incontri multilaterali tra emissari del governo siriano, russo, iraniano e turco volti a definire con i pari ruolo espressi dalle varie fazioni che si dividono Ghouta, i passi successivi del conflitto. Da questo tavolo non è mai venuta fuori una bozza risolutrice che potesse mettere fine ai continui bombardamenti sull'area. D'altronde la non-ufficialità dell'evento lasciava liberi i partecipanti di potersi impegnare o meno per una soluzione della faccenda seria.
L'altro tavolo invece è a New York.
Nelle scorse ore il consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato all'unanimità un cessate il fuoco di 30 giorni che dovrebbe fermare i bombardamenti "indiscriminati" su Ghouta. Tale risoluzione è stata accettata dalla Russia (che comanda le trattative per conto della Siria) a patto che non fossero vietate le azioni contro ISIS ed Al-Qaeda (o gruppi ad essa affiliati).
La risoluzione ha fatto storcere più di qualche naso. All'atto pratico, vista la conformazione del conflitto e gli attori coinvolti, questo atto non salverà Ghouta (e gli altri territori inclusi, ma che al momento rappresentano fronti freddi ossia non particolarmente attivi dal punto di vista delle operazioni militari) in nessun modo da ciò che sta accadendo in queste ore e che con molta probabilità proseguirà nelle prossime almeno fino a quando Mosca e Damasco lo vorranno.
La domanda dunque nasce spontanea: all'Occidente importa veramente qualcosa di Ghouta o il tram tram di dichiarazioni rilasciate in queste ore da vari esimi membri del consiglio stesso, altro non sono che un modo per lavarsi la coscienza e l'immagine davanti alla propria opinione pubblica? Non solo.
Per Ghouta c'è da augurarsi un mero cessate il fuoco o un futuro senza le 3 organizzazioni che al momento la controllano?
Nessun commento:
Posta un commento